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TDOR 2024 – la R non è più solo RICORDO ma anche RABBIA, RESISTENZA e RIVOLTA
20 Novembre 2024
La violenza di genere non è un’emergenza ma è strutturale in questo sistema eterocispatriarcale e capitalista basato su gerarchie, potere e dominio. È parte fondante della guerra contro ogni corpo vivente e contro la stessa terra. Si manifesta con processi di colonizzazione, occupazione, genocidi, estrattivismo, sfruttamento, uso e abuso dei corpi per i profitti. La […]
Giustizia per Pamela, Roxana e Andrea, assassinate crudelmente per essere lesbiche
8 Giugno 2024
Il movimento Ni una menos in Argentina si è ritrovato in piazza per la manifestazione del 3 giugno, una manifestazione che dal 2015 porta in piazza il movimento per ricordare femminicidi e transcidi.Quest’anno la chiamata era rafforzata dalla lotta contro il governo fascista, omolesbotransodiante e razzista che promuove politiche di fame e di povertà. Un […]
infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale
9 Aprile 2024
Mercoledì 28 febbraio 2024 Laura, Maria e Mari dell’Osservatorio hano rilasciato un’intervista a REPORT da cui è stato estrapolato qualche minuto inserito nella puntata dell’8 marzo. La puntata affrotava il tema dell’infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale. Condividiamo qui il testo che è stato preparato per l’intervista. L’osservatorio contro femminicidi, transcidi,puttanocidi, […]
Violenza nel mondo del lavoro – INFORTUNI E FEMMINICIDI
7 Marzo 2024
Perché accostare morti sul lavoro e femminicidi? Oltre ad essere fenomeni tristemente sempre più emergenti, sono fenomeni che vedono implicati rapporti di debolezza e subalternità. Si muore a casa per mano di chi ti sta accanto. Ma in genere un femminicidio, lesbicidio, transcidio è sempre l’ultimo di una sequenza di atti, l’esito della sottomissione psicologica […]
Intervento dell’Osservatorio all’Assemblea Nazionale NUDM a Bologna
7 Febbraio 2024
Intervento durante la plenaria dell’Assemblea Nazionale di Non Una di Meno a Bologna, sabato 3 febbraio 2024 Età delle persone uccise Sebbene la stampa dia risalto, nella cronaca, ai femminicidi di giovani donne dai 20 ai 30 anni, la fascia di età più esposta ai femminicidi è tra i 40/60 anni o over 80. I […]
Strumentalizzazione dei femminicidi in funzione del ricooscimento del feto come “persona a partire dal concepimento”
21 Gennaio 2024
Sul femminicidio di Vanessa Ballan, così come successe con Giulia Tramontano. si stanno scatenando provita e FdI sulla questione aborto. Nei femminicidi incontriamo diversi aspetti problematici nella narrazione: dalla loro rappresentazione, all’omissione nel nominarli come “femminicidi”, alla strumentalizzazione dei femminicidi per fini diversi. Per il femminicidio di Vanessa Ballan ben 7 articoli sui 16 che […]
TDOR 2023 – Intervento nelle piazze
20 Novembre 2023
Siamo l’Osservatorio Nazionale di Non una di meno che l’8 di ogni mese aggiorna il monitoraggio su femminicidi, lesbicidi, transcidi, infanticidi, suicidi di stato e dell’odiosociale, puttanocidi. La violenza di genere non è una emergenza ma è strutturale a questo sistema patriarcale e capitalista basato su gerarchie, potere e dominio. Gli stessi agiti della violenza […]
IL CASO GIUDIZIARIO DI BRESCIA E L’IN/GIUSTIZIA PATRIARCALE
8 Novembre 2023
“SORELLA IO TI CREDO”: non è uno slogan di Non Una Di Meno né un cieco atto di fede, ma nasce dalla consapevolezza di quanto le parole delle donne siano travisate, svalutate e attribuite alla “femminile” tendenza ad esagerare, anche quando si rivolgono ai tribunali per avere giustizia, denunciando ogni tipo di violenza maschile di natura fisica e psicologica; violenze che spesso coinvolgono anche i loro figlie/figli.
A dimostrazione di questo è esemplare il recente caso giudiziario, con risonanza nazionale, relativo alla denuncia per violenza domestica di una donna bengalese nei confronti del suo ex-marito in provincia di Brescia.
Riportiamo quindi le parole della giovane che, nel 2019, ha trovato il coraggio di denunciare gli abusi del marito, e che così ha commentato la prima proposta di assoluzione per l’uomo proposta dal PM: “Dov’è la giustizia e la protezione tanto invocata per le donne, tra l’altro incoraggiate a denunciare al primo schiaffo? Oppure il fatto che io sia una bengalese tra tante, mi rende di meno valore davanti a questo PM?”, aggiungendo “Sono stata trattata da schiava, picchiata, umiliata. Costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh”. Inoltre l’ex-marito le ha imposto di abbandonare gli studi dopo la prima gravidanza, costringendola a vivere segregata in casa.
Un mese fa il pubblico ministero, suscitando la disapprovazione generale e conquistando l’interesse dei media, aveva chiesto l’assoluzione dell’uomo perché “i presunti maltrattamenti erano il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge». Il 17 ottobre il tribunale di Brescia ha accolto la richiesta di assoluzione del PM Antonio Bassolino, e scagionato l’uomo di origini bengalesi Hasan MD Imrul dall’accusa di maltrattamenti sulla moglie con la formula “ il fatto non sussiste”. È stato infatti lo stesso PM a depositare una memoria, spiegando che «esaminati gli atti, (il pm) rivaluta la precedente richiesta e la riformula chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste, poiché il reato di maltrattamenti contestato difetta del requisito dell’abitualità». Quindi, per la legge o per i suoi interpreti, se la violenza non e’ abituale, non e’ tale: le denunce della donna e della sua legale sono parole al vento non corrispondenti a fatti reali. Infatti, alla notizia dell’assoluzione, l’avvocata Valeria Guerrisi, difensora della donna, ha dichiarato “Ancora violenza senza tutela. Le donne maltrattate non denunceranno più.”
Se la prima proposta di assoluzione del PM ha fatto scalpore per la sua indifendibilità, l’assoluzione perché “il fatto non sussiste” non ha suscitato clamore mediatico, ma è stata considerata “a norma di legge” e si è tradotta in scarsa credibilità della donna e di debole fondatezza delle sue denunce. Sappiamo essere pratica comune, dentro e fuori i tribunali, quella di mettere sotto accusa le donne vittime di violenza, oltre a non dar loro né voce né giustizia né tanto meno credibilità. Altre volte la donna che denuncia non solo non ottiene giustizia, ma finisce sotto accusa.
Sia nella prima che nella seconda richiesta del pm, è chiara la poca considerazione della gravità del caso: il dolore e le violenze subite dalle donne, come la loro impossibilità di autodeterminarsi, sono questioni da archiviare, di poco conto. Secondo i dati ISTAT in Italia 8 donne su 10 non denunciano la violenza di genere; l’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali ci dice che solo il 14% delle donne denunciano gravi aggressioni da parte del proprio partner. Quando le donne trovano il coraggio di denunciare episodi di violenza di genere, più di un quarto di queste denunce vengono archiviate e solo il 10% degli abusanti riceve una condanna. Sempre l’ISTAT ci consegna questo dato: il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner; il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato innumerevoli volte l’Italia “per il suo perseverare nella gestione dei processi in modo apertamente patriarcale”. Citando la sentenza del 27 maggio 2021: “E’ essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia”. In maniera inequivocabile la sentenza denuncia che “le donne dovrebbero poter contare su un sistema giudiziario libero da miti e stereotipi, e su una magistratura la cui imparzialità non sia compromessa da questi presupposti di parte”, sottolineando che “l’eliminazione degli stereotipi giudiziari nel sistema giudiziario è un passo cruciale per assicurare uguaglianza e giustizia per le vittime”.
Il sistema giuridico patriarcale proprio dell’Italia dimostra la mancanza di distinzione giuridica tra liti familiari (un contesto tra pari) e violenza domestica (in un continuativo contesto di sopraffazione): regna una profonda ignoranza sulle dinamiche di potere nei rapporti di genere, corroborata da una cultura giuridica costruita per salvaguardare i privilegi maschili. Esiste quindi una grande difficoltà nel riconoscere, anche da parte delle istituzioni giudiziarie, la gerarchia di genere (l’uomo comanda e decide, la donna ubbidisce e sopporta) e dei ruoli stereotipati nell’ambito familiare (ad esempio gli uomini lavorano e guadagnano, le donne stanno a casa con i figli), che per quanto possano intendersi ormai obsoleti nella realtà sociale, sono propri della struttura di potere patriarcale.
Gerarchia di genere e Ruoli stereotipati sono condizioni preliminari, normalizzate culturalmente, e sostrato identitario della violenza visibile (lesioni, violenze e femminicidi). Si tratta di chiavi di lettura che definiscono la relazione tra i sessi, introiettate culturalmente da uomini e donne appartenenti ad ogni ambito sociale, professionale e geografico, a tal punto da portarci a ritenere che le limitazioni della libertà della donna (ad esempio la sua libertà ad autodeterminarsi e rendersi indipendente economicamente), e le umiliazioni cui è costretta, siano un fatto “naturale” e quindi che non necessitino di approfondimento. Questo avviene quando per normali liti familiari si intendono quelle generate dal potere di un uomo nello stabilire le regole comportamentali esplicite o meno alle quali la donna è costretta, poiché si ritiene normale che questa rinunci ad ogni aspirazione di libertà quando fa scelte in contrasto con la volontà maschile, e funzionali al proprio benessere. L’effetto devastante di questa inconscia e millenaria abitudine culturale, costruita su un impianto giuridico volto a difendere sempre il potere patriarcale, porta a sentenze come quella citata inizialmente: lo Stato non riconosce l’emergenza, il dolore e la violenza quando queste vengono agite nel perimetro delle relazioni familiari, perpetrando l’oppressione sistemica da cui le persone socialmente femminilizzate cercano di liberarsi rivolgendosi all’unico organo istituzionale che dovrebbe aiutarl3 a farlo. Ma questo non succede, anzi la tendenza è quella di minimizzare, archiviare e assolvere i maltrattanti.
Quando la discriminazione di genere viene espressa attraverso una sentenza emessa in nome dello stato, questa discriminazione si traduce in un ordine legittimo (anche se ingiusto e arbitrario ) che consente agli uomini di esercitare impuniti il loro potere all’interno del contesto familiare e sociale, negando alle donne il diritto di autodeterminare la loro vita e di liberarsi dai loro oppressori.
LA SORELLANZA È LA NOSTRA FORZA CONTRO L’INGIUSTIZIA DEI TRIBUNALI
SMASCHERIAMO L’IMPIANTO PATRIARCALE DI TUTTA LA CULTURA GIURIDICA
METTIAMO IN DISCUSSIONE OGNI SENTENZA CONTRO I DIRITTI DELLE DONNE E DELLE SOGGETTIVITA’ OPPRESSE
Toccherà a me ora?
7 Novembre 2023
Siamo l’Osservatorio Nazionale di Non una di meno per il monitoraggio e il contrasto di Femminicidi, Lesbicidi, Transcidi, Infanticidi, Suicidi di stato e dell’odio sociale e Puttanocidi. Non facciamo gerarchie o classifiche tra le persone uccise dalla violenza di genere e da quella istituzionale o dell’odio sociale come purtroppo avviene nella narrazione dominante. Il corpo […]
Femminicidio di Stato
TW violenza, morte /abusi
Il femminicidio di Concetta Marruoco diventa un caso esemplificativo di come le leggi attuali sul contrasto alla violenza di genere siano completamente vuote quando non palesemente disattese. Senza alcuna remora dovremmo definirli femminicidio di Stato come negli altri casi in cui le persone vittime di violenza sono rimaste intrappolate nelle maglie burocratiche della giustizia senza avere alcuna protezione.
Il mantra sulla violenza di genere è attenersi alla Convenzione di Istanbul e la legislatura attuale in merito alla “prevenzione e contrasto alla violenza di genere” ci rimanda al Dl 62 /2019 codice rosso e al dl 122/2023 codice rosso rafforzato a firma Nordio/ Roccella/ Piantedosi composto da un solo articolo che integra il precedente decreto ma di fatto l’impianto decade nella realtà.
Se una donna su 7 nel 2017/2018 è stata uccisa per femminicidio dopo aver denunciato, il 15% di questi delitti si possono ritenere femminicidi di stato. Ci chiediamo come mai, avendo attivato i canali suddetti, il codice rosso, l’ultima integrazione che riguarda l’iter immediato del giudice di raccogliere le informazioni e avviare subito la procedura dopo tre giorni, il tempo di denuncia allungato fino a 12 mesi dai fatti e il dispositivo “braccialetto” elettronico siamo ad una media di 120/140 femminicidio l’anno.
Nei 4 casi di femminicidio avvenuti nelle Marche nel 2023, due avevano già fatto una denuncia e l’ultima, Concetta Marruocco, aveva attivato tutto l’iter previsto. Abbiamo ripercorso a ritroso le tappe degli ultimi mesi cercando di fare luce sui vuoti che sono il nesso con la violenza di stato patriarcale.
Concetta Marruoco, dopo circa 20 anni di umiliazioni e violenza fisica domestica, denuncia il suo ex e da questo momento entrano in gioco tutti i soggetti istituzionali che dovrebbero tutelarla nel percorso di fuoriuscita. Ma per lei inizia il conto alla rovescia di sette mesi che terminerà con la sua morte.
Concetta è infermiera in un ospedale a Matelica (MC). Il sindacato si attiva per conservarle il posto di lavoro (diversi contratti nazionali di lavoro tutelano chi subisce violenza domestica), costrettə com’è dalle percosse subite prima, dall’accoglienza in casa rifugio poi, a fare diverse assenze. È il sindacato ad incoraggiare Concetta a rivolgersi alle istituzioni per uscire dalla violenza domestica.
Concetta fa tutti i passaggi del DL 69/2019 e si attiva il codice rosso. Una volta effettuata la denuncia vengono attivati comune e servizi sociali, che affiancano Concetta ed il minore che ha a carico. Lo sportello antiviolenza Artemisia di Fabriano che era stato precedentemente attivato dal sindacato presso il quale era iscritta Concetta, la prende in carico e la segue legalmente per 5 mesi.
Sarà inserita in un programma di protezione in una casa rifugio, mentre si avvia l’iter per violenza domestica e viene allontanato l’abuser. Il 21 agosto, con tutti i canali attivati, rientra nel suo domicilio, sicura di essere protetta. Da lì a poco ci sarà la prima udienza: https://www.corriere.it/cronache/23_ottobre_18/sorella-concetta-marruocco-uccisa-marito-82de46ec-6d27-11ee-8916-b147ab1385f6.shtml
Si arriva al 13 settembre, quando all’ex marito viene posto il braccialetto elettronico che avrebbe dovuto essere un deterrente ad un avvicinamento pericoloso per l’incolumità della persona lesa, stabilito in 200 metri. Il braccialetto viene assicurato anche a Concetta e al loro figlio minore che abita con lei, anche lui vittima della violenza dell’uomo.
Ma il braccialetto elettronico non funziona come dovrebbe. Il malfunzionamento viene più volte segnalato alle forze dell’ordine da Concetta, dai suoi parenti, dal figlio minore, dallo sportello antiviolenza di Fabriano e, paradossalmente, addirittura dal violento. Le segnalazioni cadono nel vuoto. Più volte l’abuser riesce a stalkerare Concetta senza che nessuno intervenga. Ed è qui che non si capisce perché il giudice non sia intervenuto immediatamente per far rispettare gli obblighi di legge e per sostituire il dispositivo.
Concetta rimane in balia degli eventi, nonostante l’ex palesi anche sui social l’astio verso di lei, nonostante lo esternasse a tutti i suoi amici. Chi era istituzionalmente legittimato e obbligato ad intervenire non fa assolutamente nulla. 25 giorni dopo Concetta viene uccisa con 40 coltellate. Le forze dell’ordine si presentano quando ormai non c’è più nulla da fare per Concetta.
“Un femminicidio annunciato” si dirà a caldo nelle ore successive, il sindaco e i servizi sociali parleranno di una situazione familiare nota da tempo in cui si è fatto tutto il possibile. Ma la denuncia viene dallo sportello antiviolenza che l’aveva in carico, parole pesanti come macigni che testimoniano che il femminicidio di Concetta poteva essere gestito in maniera diversa se solo si fossero intraprese le azioni di protezione verso la donna e si fossero ascoltate le segnalazioni ripetute fatte nel periodo precedente il suo assassinio. Concetta ha creduto nelle istituzioni ma è stata tradita lasciando il fardello più grande all’associazione anti violenza che l’ha sostenuta fino alla fine.
Si è discusso tanto del braccialetto elettronico come se fosse il nodo del problema invece di guardare tutto l’impianto che Concetta aveva attivato e che è stato mancante. Così come tutte le persone vittime di violenza, Concetta non voleva essere vittima ma sopravvissuta, e ha combattuto per avere una vita. Ha attivato tutti i canali che poteva, si è attenuta a tutti gli step, passo dopo passo, ma è tornata al punto di partenza con l’abuser sempre alle spalle, che continuava a girare tranquillamente intorno a casa sua sapendo che il sistema lo avrebbe legittimato. È questo che si dimentica: Concetta non è stata creduta nella sua paura di essere uccisa. Il caso assomiglia purtroppo a tanti altri casi di femminicidio. Il copione è lo stesso: dai servizi sociali ai tribunali per passare alla polizia si incontra una filiera immobile davanti alla violenza di genere.
Le donne non vengono credute.
Il braccialetto elettronico è stato introdotto nel 2005 ma non vi è un report sulla sua efficacia né sulla copertura di rete. Dal 2019, con la legge 69/2019 ovvero il codice rosso, viene utilizzato per i reati di violenza di genere. L’appalto statale dato a Fastweb dovrebbe garantirne l’efficienza. I casi di malfunzionamento che mettono in pericolo le persone coinvolte, sono stati registrati in diverse regioni.
Un anno fa c’è stata un’ interrogazione parlamentare per sapere quanti erano i dispositivi attualmente attivi e verificarne la loro efficienza in termini di prevenzione. Non è stata data alcuna risposta. Non vi è nessuna relazione in merito.
Il 30 settembre entra in vigore il testo sul codice rosso rafforzato (dl 192) che conferma il braccialetto elettronico quasi fosse la soluzione alla violenza di genere. Neanche una decina di giorni dopo questa fiducia fatua viene da più parti smentita.
Di seguito alcuni casi in cui non ha funzionato il braccialetto elettronico:
- https://laragione.eu/litalia-de-la-ragione/cronaca/braccialetti-elettronici/
- https://www.frosinonetoday.it/cronaca/braccialetto-elettronico-droga-arrestato.html
- https://lespresso.it/c/attualita/2023/5/9/violenza-sulle-donne-i-braccialetti-anti-stalking-sono-una-soluzione-ma-i-giudici-la-ignorano/2953
- https://livesicilia.it/braccialetto-elettronico-decreto-sicurezza/
- https://www.ilrestodelcarlino.it/cronaca/braccialetto-elettronico-come-funziona-jvnqx9jh
Il dispositivo non va. Ma anche se funzionasse bene non c’è dispositivo che tenga se tutto l’impianto è patriarcale. Scaricare sulle donne il manuale delle tappe della denuncia della violenza significa fare splaining e addossargliene la responsabilità.
Chi ha cercato disperatamente come una corsa contro il tempo di sventare ciò che è accaduto il 14 ottobre sono stati i familiari, la sorella, lo sportello antiviolenza, lo stesso vicinato che ha cercato di presidiare la sua abitazione segnalando ogni volta che l’abuser era sotto casa.
Concetta Marruocco è una vittima dello Stato e a proteggerla si è attivata la comunità intorno a lei. Doveva essere salvata.Il vuoto delle istituzioni è riconducibile a quelle denunciate nel “violador en tu camino”: lo Stato, i giudici, le forze dell’ordine.
Y la culpa no es la mía.