infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale

9 Aprile 2024

Mercoledì 28 febbraio 2024 Laura, Maria e Mari dell’Osservatorio hano rilasciato un’intervista a REPORT da cui è stato estrapolato qualche minuto inserito nella puntata dell’8 marzo. La puntata affrotava il tema dell’infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale. Condividiamo qui il testo che è stato preparato per l’intervista. L’osservatorio contro femminicidi, transcidi,puttanocidi, […]

Violenza nel mondo del lavoro – INFORTUNI E FEMMINICIDI

7 Marzo 2024

Perché accostare morti sul lavoro e femminicidi? Oltre ad essere fenomeni tristemente sempre più emergenti, sono fenomeni che vedono implicati rapporti di debolezza e subalternità. Si muore a casa per mano di chi ti sta accanto. Ma in genere un femminicidio, lesbicidio, transcidio è sempre l’ultimo di una sequenza di atti, l’esito della sottomissione psicologica […]

IL CASO GIUDIZIARIO DI BRESCIA E L’IN/GIUSTIZIA PATRIARCALE

8 Novembre 2023

SORELLA IO TI CREDO”: non è uno slogan di Non Una Di Meno né un cieco atto di fede, ma nasce dalla consapevolezza di quanto le parole delle donne siano travisate, svalutate e attribuite alla “femminile” tendenza ad esagerare, anche quando si rivolgono ai tribunali per avere giustizia, denunciando ogni tipo di violenza maschile di natura fisica e psicologica; violenze che spesso coinvolgono anche i loro figlie/figli. 

A dimostrazione di questo è esemplare il recente caso giudiziario, con risonanza nazionale, relativo alla denuncia per violenza domestica di una donna bengalese nei confronti del suo ex-marito in provincia di Brescia.

Riportiamo quindi le parole della giovane che, nel 2019, ha trovato il coraggio di denunciare gli abusi del marito, e che così ha commentato la prima proposta di assoluzione per l’uomo proposta dal PM: “Dov’è la giustizia e la protezione tanto invocata per le donne, tra l’altro incoraggiate a denunciare al primo schiaffo? Oppure il fatto che io sia una bengalese tra tante, mi rende di meno valore davanti a questo PM?”, aggiungendo “Sono stata trattata da schiava, picchiata, umiliata. Costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh”. Inoltre l’ex-marito le ha imposto di abbandonare gli studi dopo la prima gravidanza, costringendola a vivere segregata in casa.

Un mese fa il pubblico ministero, suscitando la disapprovazione generale e conquistando l’interesse dei media, aveva chiesto l’assoluzione dell’uomo perché “i presunti maltrattamenti erano il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge». Il 17 ottobre il tribunale di Brescia ha accolto la richiesta di assoluzione del PM Antonio Bassolino, e scagionato l’uomo di origini bengalesi Hasan MD Imrul dall’accusa di maltrattamenti sulla moglie con la formula “ il fatto non sussiste”. È stato infatti lo stesso PM a depositare una memoria, spiegando che «esaminati gli atti, (il pm) rivaluta la precedente richiesta e la riformula chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste, poiché il reato di maltrattamenti contestato difetta del requisito dell’abitualità». Quindi, per la legge o per i suoi interpreti, se la violenza non e’ abituale, non e’ tale: le denunce della donna e della sua legale sono parole al vento non corrispondenti a fatti reali. Infatti, alla notizia dell’assoluzione, l’avvocata Valeria Guerrisi, difensora della donna, ha dichiarato “Ancora violenza senza tutela. Le donne maltrattate non denunceranno più.”

Se la prima proposta di assoluzione del PM ha fatto scalpore per la sua indifendibilità, l’assoluzione perché “il fatto non sussiste” non ha suscitato clamore mediatico, ma è stata considerata “a norma di legge” e si è tradotta in scarsa credibilità della donna e di debole fondatezza delle sue denunce. Sappiamo essere pratica comune, dentro e fuori i tribunali, quella di mettere sotto accusa le donne vittime di violenza, oltre a non dar loro né voce né giustizia né tanto meno credibilità. Altre volte la donna che denuncia non solo non ottiene giustizia, ma finisce sotto accusa.

Sia nella prima che nella seconda richiesta del pm, è chiara la poca considerazione della gravità del caso: il dolore e le violenze subite dalle donne, come la loro impossibilità di autodeterminarsi, sono questioni da archiviare, di poco conto. Secondo i dati ISTAT in Italia 8 donne su 10 non denunciano la violenza di genere; l’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali ci dice che solo il 14% delle donne denunciano gravi aggressioni da parte del proprio partner. Quando le donne trovano il coraggio di denunciare episodi di violenza di genere, più di un quarto di queste denunce vengono archiviate e solo il 10% degli abusanti riceve una condanna. Sempre l’ISTAT ci consegna questo dato: il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner; il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato innumerevoli volte l’Italia “per il suo perseverare nella gestione dei processi in modo apertamente patriarcale”. Citando la sentenza del 27 maggio 2021: “E’ essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia”. In maniera inequivocabile la sentenza denuncia che “le donne dovrebbero poter contare su un sistema giudiziario libero da miti e stereotipi, e su una magistratura la cui imparzialità non sia compromessa da questi presupposti di parte”, sottolineando che “l’eliminazione degli stereotipi giudiziari nel sistema giudiziario è un passo cruciale per assicurare uguaglianza e giustizia per le vittime”.

Il sistema giuridico patriarcale proprio dell’Italia dimostra la mancanza di distinzione giuridica tra liti familiari (un contesto tra pari) e violenza domestica (in un continuativo contesto di sopraffazione): regna una profonda ignoranza sulle dinamiche di potere nei rapporti di genere, corroborata da una cultura giuridica costruita per salvaguardare i privilegi maschili. Esiste quindi una grande difficoltà nel riconoscere, anche da parte delle istituzioni giudiziarie, la gerarchia di genere (l’uomo comanda e decide, la donna ubbidisce e sopporta) e dei ruoli stereotipati nell’ambito familiare (ad esempio gli uomini lavorano e guadagnano, le donne stanno a casa con i figli), che per quanto possano intendersi ormai obsoleti nella realtà sociale, sono propri della struttura di potere patriarcale. 

Gerarchia di genere e Ruoli stereotipati sono condizioni preliminari, normalizzate culturalmente, e sostrato identitario della violenza visibile (lesioni, violenze e femminicidi). Si tratta di chiavi di lettura che definiscono la relazione tra i sessi, introiettate culturalmente da uomini e donne appartenenti ad ogni ambito sociale, professionale e geografico, a tal punto da portarci a ritenere che le limitazioni della libertà della donna (ad esempio la sua libertà ad autodeterminarsi e rendersi indipendente economicamente), e le umiliazioni cui è costretta, siano un fatto “naturale” e quindi che non necessitino di approfondimento. Questo avviene quando per normali liti familiari si intendono quelle generate dal potere di un uomo nello stabilire le regole comportamentali esplicite o meno alle quali la donna è costretta, poiché si ritiene normale che questa rinunci ad ogni aspirazione di libertà quando fa scelte in contrasto con la volontà maschile, e funzionali al proprio benessere. L’effetto devastante di questa inconscia e millenaria abitudine culturale, costruita su un impianto giuridico volto a difendere sempre il potere patriarcale, porta a sentenze come quella citata inizialmente: lo Stato non riconosce l’emergenza, il dolore e la violenza quando queste vengono agite nel perimetro delle relazioni familiari, perpetrando l’oppressione sistemica da cui le persone socialmente femminilizzate cercano di liberarsi rivolgendosi all’unico organo istituzionale che dovrebbe aiutarl3 a farlo. Ma questo non succede, anzi la tendenza è quella di minimizzare, archiviare e assolvere i maltrattanti.

Quando la discriminazione di genere viene espressa attraverso una sentenza emessa in nome dello stato, questa discriminazione si traduce in un ordine legittimo (anche se ingiusto e arbitrario ) che consente agli uomini di esercitare impuniti il loro potere all’interno del contesto familiare e sociale, negando alle donne il diritto di autodeterminare la loro vita e di liberarsi dai loro oppressori.

LA SORELLANZA È LA NOSTRA FORZA CONTRO L’INGIUSTIZIA DEI TRIBUNALI

SMASCHERIAMO L’IMPIANTO PATRIARCALE DI TUTTA LA CULTURA GIURIDICA

METTIAMO IN DISCUSSIONE OGNI SENTENZA CONTRO I DIRITTI DELLE DONNE E DELLE SOGGETTIVITA’ OPPRESSE

Una tragedia annunciata

8 Gennaio 2023

Una tragedia annunciata. Un crudele e cruento femminicidio indiretto per rendere indelebile il dolore di una donna ERICA PATTI, attraverso l’uccisione e il rogo dei due figli ANDREA e DAVIDE di 13 e 9 anni da parte del padre Pasquale IACOVONE, il 16 luglio 2013 a ONO SAN PIETRO ,in provincia di Brescia ,come atto di punizione verso la madre che aveva osato separarsi da lui, uomo violento, e vivere la sua vita.

Questo libro rivela anche il coraggio incredibile di una donna, ERICA PATTI, che è riuscita a sopravvivere e a raccontare la sua storia dopo essere passata attraverso un dolore che artiglia il cuore e i tentativi disperati di raggiungere i suoi figli in un porto di morte. Una donna capace di dare vita nel 2015 al gruppo di aiuto DIECI (chiamato così dal numero delle sue denunce contro l’ex marito) per donne che subiscono violenza di genere, e di trasformare la sua storia in un libro potente e in una testimonianza sconvolgente e illuminante per altre donne che forse stanno percorrendo una strada senza uscita simile alla sua. “Un gesto fatto in un momento di rabbia tornerà, ancora e ancora, sempre più offensivo, sempre più pesante, sempre più pericoloso.”

A partire dal primo incontro con Pasquale: “Quando l’ho visto la prima volta ho pensato che fosse bellissimo, che sembrava un fotomodello e che mi sarebbe piaciuto conoscerlo”. Ai primi segnali di violenza sottovalutati “mi riempiva di regali… Ho cominciato sempre meno a uscire con la grande compagnia di amici di cui facevo parte. In un paio d’anni vedevo lui e le persone che piacevano a lui… Però ero innamorata, mi andava bene”. E ancora “già allora sentivo l’oppressione di quel ragazzo che un po’ alla volta rubava spazio alla mia libertà.” Poi il primo di tanti gesti violenti e minacciosi ripetuti nel corso degli anni “mentre litigavamo, … lui mi ha spinto contro al muro e mi ha messo le mani al collo.”

LA MANCATA CONSAPEVOLEZZA: “A quel gesto non ho dato il peso che avrei dovuto, ho pensato che fosse stato un episodio che non si sarebbe ripetuto, ma ero innamorata e restavo, ascoltavo, subivo,mi dicevo “tanto poi gli passa, al disprezzo per la sua capacità di giudizio e di autoderminazione “sarà qualcuna che ti ha messo in testa quest’idea” per assumere il controllo totale sulla sua vita.

In seguito ci sono state le due maternità e l’amore per i figli Andrea e Davide, mentre si intensificavano gli insulti, la violenza economica, verbale e fisica di PASQUALE IACOVONE estesa alla famiglia di origine di Erica che lo aveva inizialmente accolto con affetto. Infine il coraggio di dire basta e la separazione legale nel 2010 con l’affidamento congiunto dei due figli che mantengono la residenza presso la madre. Da questo momento l’inizio, come lo definisce Erica , del mio incubo peggiore, dello stalking, degli insulti, delle minacce dei tentativi di buttarla fuori strada e di strangolarla, gli sms ad ogni ora del giorno e della notte nei confronti di Erica sempre più esposta alle violenze dell’ex marito perché entrambi vivevano nello stesso paese di 1000 abitanti ONO SAN PIETRO dove per lui è sempre facile, spiarne la vita, controllarne le frequentazioni, prendersi i figli a piacere aldilà degli accordi, minacciare il nuovo compagno e lanciarle nella rabbia la minaccia “Tu i tuoi bambini li vedrai solo sulla foto di una lapide”.

Il 2 luglio 2012 la prima denuncia di Erica che, per tutelare i figli, si era astenuta da ogni ricorso ai tribunali, contro l’ex marito a cui seguono altre denunce circostanziate fino al 7 gennaio 2013 col divieto per IACOVONE di avvicinamento motivato dal documentato comportamento violento verso l’ex moglie, la sua famiglia, il suo nuovo compagno. 

E giungiamo all’epilogo di questa tragedia annunciata. Erica chiede la revisione degli accordi di separazione rispetto all’affidamento congiunto, revisione a cui nell’udienza del 3 luglio 2013 lo IACOVONE si oppone, il giudice si riserva la decisione e il padre ha diritto, in base agli accordi precedenti di tenere i figli ancora con sé per altri 15 giorni. Erica non rivedrà mai più i suoi figli. ANDREA fa sapere alla mamma che sarebbero tornati da lei la domenica 7 luglio, ma non accade. Il giorno successivo angosciata ERICA chiama l’avvocato e l’assistente sociale perché non riesce a contattare i bambini, ma l’assistente sociale si preoccupa solo di sapere se il padre potrà sentirli quando saranno in vacanza con lei “ non mi sentivo tutelata, dopo aver ricevuto minacce di morte sia io che i miei figli, essere stalkerizzata 24 ore su 24, non avere la possibilità’ di sentire i tuoi figli quando sono con lui e per tutta risposta la frittata viene girata”

Siamo al 16 luglio 2013 il giorno in cui ANDREA E Davide vengono assassinati, prima soffocati e poi bruciati nel fuoco appiccato dal padre “quello a cui loro volevano tanto bene e di cui si fidavano”. LO SAPEVO GIÀ PRIMA DI SAPERLO : “ME LI HA AMMAZZATI” sono le parole straziate di ERICA quando le giunge la notizia che qualcosa è accaduto ai suoi figli. Il suo dolore è atroce mescolato al senso di colpa per non averli potuti salvare e alla rabbia verso le istituzioni che col senno di poi come ha poi dichiarato una funzionaria, avrebbero dovuto agire diversamente, darle credito e salvare la vita ad Andrea e Davide. Il corpo di Erica entra in una specie di agonia, tormentata dal ricordo della fine orribile dei figli i cui corpi non ha nemmeno potuto vedere , stato da cui esce , dopo due anni, con le sedute della terapia EMDR, una terapia che consiste nella rielaborazione delle informazioni immagazzinate nel cervello attraverso la stimolazione bilaterale oculare che permette in qualche modo di elaborare un trauma che altrimenti torna in mente in modo disordinato e provoca flash back, incubi, angoscia, accessi di collera, ripiegamento su se stessi, incapacità’ di vivere.

Finalmente in una delle ultime sedute vede i figli non più dietro un muro, ma davanti a sé che la invitano ad essere libera, promettendo di starle sempre accanto ed in quel momento” capisco di essere pronta a diventare di nuovo mamma” .Riccardo è nato il 12 settembre 2018 e lo accompagnano le parole di ERICA a chiusura del libro “RICCARDO deve crescere senza sentirsi addosso il peso della mia, della nostra tragedia. Ci sarà poi il tempo per spiegargli, per raccontargli tutto.”

Il 12 novembre 2022 alla fiera della micro-editoria di Chiari, in provincia di Brescia, ho ascoltato la presentazione di questo libro che già conoscevo dalla stessa ERICA PATTI che con grande forza e sicurezza ha risposto alla domanda sul perché lo ha scritto. Ecco i suoi tre motivi

1 “perché i miei figli non siano morti invano e siano sempre presenti

2 perché tutti sappiano che ho percorso tutte le strade della denuncia a tutte le istituzioni, ma che tutto questo non è servito a salvare i miei figli

3 perché altre donne imparino dalla mia storia a porre attenzione ai sintomi di violenza, talvolta giustificati in nome dell’amore, ma che poi diventano brutalità senza fine”

Il libro è anche una raccolta documentata di denunce e di atti giudiziari che sono antecedenti e successivi a questo figlicidio e femminicidio indiretto, che illuminano sullo scarso peso che ancora si da’ alla testimonianza delle donne sulla violenza domestica e territoriale e sul rischio di morte per donne, figli e figlie, soprattutto dopo una scelta di separazione e di come la legge, i suoi esecutori ed esecutrici siano portatori e portatrici di una visione ancora patriarcale dei rapporti e dei diritti. Ci dicono anche che ERICA non ha lasciata intentata alcuna strada “ aveva denunciato, segnalato e chiesto aiuto ottenendo risposte, col senno di poi, risposte certamente inadeguate”. Queste ultime sono parole del magistrato Fabio Roia del tribunale di Milano che scrive una prefazione al libro e denota come in un indagine condotta dalla COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA sul femminicidio per il biennio 2017-2018 emerge che su 211 femminicidi soltanto 29 donne avevano in precedenza denunciato cioè il 15% del totale. E sempre ROIA aggiunge una considerazione molto importante:

ANDREA e DAVIDE portano il cognome di chi li ha uccisi. È una sorta di condanna perenne e una sottile forma di riabilitazione per l’omicida. Esiste una particolare procedura per il cambiamento del cognome, ma soltanto per chi si trova ancora in vita.”

“Quel cognome dovrebbe immediatamente scomparire dai nostri registri perché la violenza non puo’ più essere tollerata a qualsiasi latitudine della vita. 

Neanche su una tomba bianca”

ERICA PATTI “COL SENNO DI POI” LIBEREDIZIONI

UCCISI E BRUCIATI DAL PADRE. LA MADRE RACCONTA LA STRAGE DI ONO SAN PIETRO

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