ANALISI DEI DATI SUI FEMMINICIDI IN ITALIA: c’è un effetto imitazione influenzato dalla copertura mediatica?

7 Dicembre 2024

Copertina della tesi di laurea

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Nunzia Cecatiello, tratto dalla sua tesi di laurea triennale, discussa a luglio 2024.

Mentre gli omicidi in Italia sembrano diminuire, lo stesso non accade per i femminicidi. Dati dell’Istat dimostrano che parallelamente ad un rapido decremento nel tasso di omicidi volontari sulla popolazione, il tasso degli omicidi volontari con vittime di genere femminile è rimasto pressoché costante per almeno gli ultimi 30 anni. Come possiamo spiegare tali dati a fronte di una sempre più ampia diffusione del tema? Di certo la narrazione riduttiva e fuorviante portata avanti dai media non contribuisce al contenimento del fenomeno.

Come scritto da Michela Murgia riguardo ad un articolo di cronaca di femminicidio del 2012: “La protagonista di questa notizia è la donna assassinata, […] il titolo di Repubblica mette invece come soggetto dell’azione l’omicida, facendo apparire la morte della donna come una conseguenza accessoria del suo agire. La specificazione che la donna uccisa fosse moglie dell’uccisore […] rende dominante il ruolo familiare della morta rispetto alla sua individualità. C’è molta differenza tra dire che un uomo ha ucciso una donna e dire che un marito ha ucciso sua moglie. […] L’omicidio non è da attribuire alla gelosia […] ma all’uomo e al coltello che ha affondato ripetutamente sul corpo inerme della donna. La gelosia non uccide le donne: le uccidono gli uomini.”

Nonostante il determinato e significativo lavoro di attivistɜ nel costruire consapevolezza ed educare, sono i media tradizionali a raggiungere più efficacemente la maggioranza della popolazione italiana – è possibile ipotizzare che questa narrazione dannosa del fenomeno abbia un potenziale effetto sulla diffusione del fenomeno? Studi in passato hanno dimostrato che la ripetuta esposizione alla violenza tramite i media aumenti il rischio nel lettore di perpetrarla a sua volta. Certamente, l’implicita vittimizzazione dell’omicida e la corrispondente colpevolizzazione della vittima dimostrano spaventose potenzialità di suscitare nel lettore un senso di empatia nei confronti dell’assassino.

I dati dell’Osservatorio di NUDM

Per condurre un’analisi statistica sui femminicidi in Italia, ad oggi, l’unica risorsa accessibile, accurata ed aggiornata a disposizione è quella dell’Osservatorio sui Femminicidi Lesbicidi e Transcidi di Non Una di Meno. La mancanza di dati ufficiali aperti riflette la mancanza di attenzione al fenomeno da parte delle istituzioni.

Come afferma Catherine D’Ignazio, “Contare e documentare è un modo per trasformare i fenomeni che vengono misurati da eventi individuali a esempi solidi di un pattern diffuso”. Misurare un fenomeno significa vedere il fenomeno, significa riconoscere le radici sistemiche che lo guidano. Le istituzioni che ancora si limitano alla distinzione tra omicidi con vittime di genere maschile e di genere femminile dimostrano una totale assenza di considerazione ed interesse nei confronti del femminicidio.

D’altra parte, una raccolta di dati dal basso come quella offerta dall’Osservatorio non è da sottovalutare. La raccolta dati svolta da chi si occupa del fenomeno in forma più approfondita e allo stesso tempo capillare come fa Non Una Di Meno, riguardo ad un tema che richiede attenzione e profondità per una corretta classificazione, riesce ad arrivare dove le fonti ufficiali non sono in grado, arricchendo la raccolta dati di un valore umano e personale. Raccogliere dati è una delle pratiche con cui NUDM fa memoria, ricordo delle vittime e analisi politica della violenza che le ha uccise.

Una più stretta collaborazione tra le istituzioni e i movimenti dal basso potrebbe rendere la raccolta dati nazionalmente univoca, ricca e dettagliata, grazie alle diverse risorse delle parti.

I femminicidi nelle ricerche online

Ad una diversa narrazione dei fenomeni consegue una diversa ricezione da parte degli utenti. Non tutte le vittime ricevono la stessa attenzione – grazie ad un’analisi sulle ricerche sul motore di ricerca Google di ogni vittima di femminicidio dal 2020 al 2024, si osserva che le vittime di nazionalità italiana sono in proporzione più cercate delle vittime di nazionalità straniera. Allo stesso modo, i nomi delle vittime di femminicidio perpetrato dall’attuale partner sono ampiamente meno ricercate online dei casi avvenuti per mano di ex o familiari. Ciò si può probabilmente spiegare come conseguenza dell’inconscia normalizzazione, se non legittimazione, dei femminicidi perpetrati in un contesto intimo/romantico. Le vittime di femminicidio in ambito di coppia non sono spettacolarizzabili come le altre – questi casi sono sempre più narrati ormai come evento ordinario.

La narrazione di questi casi come regolare avvenire concorre ad una radicazione ed infiltrazione del fenomeno che appare ai media ed ai lettori sempre più come un fenomeno senza un’individuabile causa. Normalizzare vuol dire giustificare, la giustificazione porta alla diffusione.

Un caso come quello di Giulia Cecchettin è esemplare per comprendere come l’informazione ed i media impattano sulla sensibilizzazione e la consapevolezza della società. Per l’appunto, da una comparazione tra le ricerche Google del termine “femminicidio” svolte nel periodo antecedente e nel periodo posteriore a Giulia, si osserva un chiaro distacco nel mantenimento dell’interesse con l’allontanarsi dell’evento. Settimane dopo il caso di Giulia, l’argomento dei femminicidi ha continuato a rimanere rilevante nelle ricerche degli utenti, diversamente da quanto non è accaduto dopo casi altrettanto mediaticamente noti in passato. La mobilitazione che il caso di Giulia ha portato nella società ha influito sull’interesse e sull’informazione da parte di utenti non già vicini al fenomeno.

Allo stesso modo, osservando l’andamento dei casi nella settimana successiva a casi di particolare scalpore, notiamo una leggera diminuzione: possiamo con discreta sicurezza affermare che questa diminuzione sia dovuta non tanto ad un ricredersi dei potenziali killer, ma ad una crescita nelle ricerche d’aiuto da parte delle donne in situazioni di difficoltà che, a loro volta riconoscendosi nelle vittime, avvertono maggiormente la situazione di pericolo in cui si ritrovano.

È chiaro che ciò che conta, più che del quanto se ne parla, è il come. Un articolo di cronaca non potrà fermare un femminicida ma il lavoro di giornalistɜ e attivistɜ nell’utilizzare un linguaggio che sappia opportunamente rispecchiare le cause e la natura del fenomeno, saper osservare, catturare e mettere a disposizione sempre più risorse a servizio della società sono strumenti fondamentali per trovare la direzione per arginare la violenza.

L’attivismo si fa anche contando.

Nunzia Cecatiello

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