infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale

9 Aprile 2024

Mercoledì 28 febbraio 2024 Laura, Maria e Mari dell’Osservatorio hano rilasciato un’intervista a REPORT da cui è stato estrapolato qualche minuto inserito nella puntata dell’8 marzo. La puntata affrotava il tema dell’infanzia invisibile, figli_ di madri che vengono uccis dalla violenza patriarcale. Condividiamo qui il testo che è stato preparato per l’intervista.

L’osservatorio contro femminicidi, transcidi,puttanocidi, lesbicidi, infanticidi, suicidi di stato e dell’odio sociale di Non Una di Meno nasce nel 2020 dalla consapevolezza che molti delitti basati su “genere” o “scelte relazionali e/o socioaffettive” ritenute non “a norma” non venivano contabilizzate a livello ministeriale e che nessuno dei luoghi che monitoravano avevano una visione transfeminista e quindi una lettura intersezionale del fenomeno.

L’Osservatorio così come tutto il lavoro di NUDM nascono con l’obiettivo di mettere in luce il carattere sistemico della violenza eterocispatiarcale. Vogliamo ricordare e denunciare quanto è frequente, quanto è diffusa la violenza che uccide donne, persone trans, lesbiche, persone razzializzate, disabili, giovani e non giovani. 

Non è raptus, non è amore, ma violenza di genere all’interno delle famiglie, dei luoghi di lavoro, di cura e di istruzione e in ogni ambito della nostra vita. E’ la stessa violenza sistemica, strutturale, che lascia figlie e figliu senza supporto quando rimangono orfani e sol3.

Dal percorso di costruzione collettiva della manifestazione nasce il desiderio di monitorare, riappropriarci della narrazione, , superare l’invisibilizzazione dei transcidi, usare la parola lesbicidio a seguito dell’uccisione di Elisa Pomarelli, porre l’attenzione sulla violenza e l’uccisione dellu sex worker, dei e delle figlie, sulle persone che si suicidano a causa della violenza eterocispatriarcale.

È nel percorso di costruzione della manifestazione nazionale del 25 novembre 2019 quando NUDM Piacenza porta in piazza i nomi delle persone uccise che nasce il desiderio di monitorare, riappropriarci della narrazione, denunciare e contrastare la violenza e il linguaggio dei media, riflettere, analizzare, inventare le parole per dirlo.

Cosi  usiamo le parole 

“lesbicidio” a seguito del femminicidio Elisa Pomarelli, uccisa perchè lesbica: aveva rifiutato un rapporto sessuale con il suo amico 

“transcidio” per superare l’invisibilizzazione delle persone trans e in Italia siamo primo paese in Europa per queste morti, 

puttanocidio” per includere le persone uccise perché fanno lavoro sessuale,

“suicidat_ dallo stato, dall’odio sociale e dal patriarcato” per le persone il cui suicidio è indotto da motivazioni di genere (spose bambine che si sottraggono in questo modo a quello che non riconoscono come il loro destino, o persone molto giovani discriminate, bullizzate e costrette alla povertà da una comunità familiare e sociale che non riconosce il loro percorso di affermazione di genere, o persone adulte indotte al suicidio da una violenza psicologica sistemica e continua del proprio partner). Nel caso dei suicidi, cerchiamo anche di comprendere se questi sono legati – sopratutto per persone giovani e adolescenti, a percorsi di affermazione di genere e opposizione da parte della famiglia o difficoltà dei percorsi. Ci sono casi di induzione al suicidio a seguito di violenze psicologiche, o casi in cui una persona fa una scelta di sottrazione a una vita di violenza, per esempio scegliendo il suicidio per evitare un matrimonio obbligato, o una violenza sessuale. 

Abbiamo incluso anche gli infanticidi cioè le situazioni in cui si colpisce la madre attraverso l’uccisione delle persone a lei più care e l’uccisione di persone anziane e/o disabilizzate perchè le persone a cui non è “destinato”, per ruolo legato al genere il “lavoro di cura”, uccidono come dicono per “liberare dalla sofferenza”, una sorta di “eutanasia imposta” che solo raramente può essere considerata realmente un doppio suicidio in presenza di documenti firmati dalle due persone coinvolte che esplicitino la loro piena e comune volontà. Molto spesso i mariti si uccidono o tentano di uccidersi ma sono pur sempre sono loro a imporre “la fine del male”, a chi non l’ha o non può sceglirla. 

Queste scelte di linguaggio e di monitoraggio sono quelle che poi fanno aumentare i numeri della lista del nostro osservatorio rispetto ad altre liste ma solo perché sono più accurati e pensati. Ogni mese infatti abbiamo un’assemblea in cui dopo aver esaminato le notizie a nostra disposizione prendiamo decisioni su inserimento o meno nella lista che aggiorniamo l’8 di ogni mese. 

I dati dell’Osservatorio sono divisi per anni, dal 2020 ad oggi. Siamo consapevoli della parzialità dei numeri e delle informazioni che riusciamo a raccogliere. Il valore del nostro lavoro è nel percorso, nella denuncia e nella riflessione che facciamo a partire da ogni singolo caso, nel nostro sguardo transfemminista eintersezionale sulla violenza di genere e patriarcale. 

I casi di transcidio infatti spesso non vengono riportati dalla stampa o i nomi non corrispondono al genere di elezione, lo stesso succede ai casi di persone che fanno lavoro sessuale. Le persone razializzate troppo spesso vengono titolate con il paese di provenienza invece che con il loro nome. Ci sono continui riferimenti alla sofferenza di chi uccide che alla fine diventa una giustificare dell’atto piuttosto che un’offerta del contesto in cui viene agito. 

C’è una gerarchia di valori rispetto alla trattazione dei casi che risponde all’ideologia del sistema. Gli eventi cioè in cui l’uccisione di una persona avviene per motivi riconducibili a relazioni di potere e a violenze determinate dal genere. Meno la persona uccisa corrisponde al modello “ruolo” imposto alle persone assegnate F alla nasita (AFAN), meno se ne parla o trova spazio sia nelle informazioni che nelle indagini. 

In alcuni casi mediaticamente più “famosi” – spesso di giovani ragazze o madri – i media riportano numerosi dettagli. In altri casi – quando si tratta di donne anziane, di persone con disabilità o malattie, di persone razzializzate, sex worker, persone trans etc – la copertura mediatica è molto minore e spesso piena di imprecisioni e di parole violente e sbagliate nelle descrizioni. Ci sono casi in cui il risultato dell’autopsia non viene reso noto, o casi di suicidio che vengono archiviati senza molto approfondimento, o casi in cui le indagini per arrivare al presunto colpevole sono molto lunghe.

I suicidi vengono spesso archiviati troppo facilmente soprattutto se si tratta di persone che svolgono lavoro sessuale, le indagini sono lunghe e non vengono più riportate informazioni nei giornali se non per annunci eclatanti. Abbiamo molti casi in sospeso che vorremmo ma non riusciamo a seguire. 

Quello che pubblichiamo mese per mese diventa anche azione di piazza: in molte città, ogni 8 del mese è un giorno di presidi e azioni pubbliche in cui si ricorda chi è stat_ uccis_ e si denuncia il sistema di violenza di genere e patriarcale in cui viviamo. In alcune piazza ci sono luoghi fisici fissi con pañueli e simboli di NUDM (Brescia, Firenze, Mantova, Torino, Trieste). Abbiamo avuto denunce di casi in cui questi simboli vengono rimossi, danneggiati o devastati, ma NUDM torna a rimetterli per segnalare quanto il patriarcato ANCHE in Italia sia il problema.

Si risponde anche territorialmente ad ogni notizia di violenza di genere con passeggiate rumorose e/o silenziose per comunicare quanto queste uccisioni siano parte di un sistema patriarcale da distruggere totalmente e contro cui dobbiao lottare insieme. 

NUDM ha seguito e segue le persone che restano (orfani e familiari) in alcuni casi in cui c’è un contatto e la volontà di sostenersi insieme, in procedimenti che sono spesso molto lunghi e dolorosi e in cui le persone offese coinvolte subiscono una forte vittimizzazione secondaria. 

ll Ministero dell’Interno pubblica i dati su tutti gli omicidi nel nostro paese. Le statistiche ufficiali in Italia sono disponibili solo disaggregate per genere in modo binario: maschio o femmina cosi come compare nei documenti di identità. Non c’è modo dunque di rendere visibili le persone trans – che vengono spesso misgenderizzate, cioè le si assegna al genere sbagliato e si continua a chiamarle e contarle con il sesso assegnato alla nascita se non era intervenuta una rettifica dei documenti. Le statistiche ufficiali non mettono in relazione il genere della persona uccisa con tutte le altre caratteristiche che noi cerchiamo di monitorare per mettere in luce la relazione tra genere, orientamento sessuale, età, paese di origine, salute e situazioni disabilizzanti della persona uccisa e matrice patriarcale. 

Cerchiamo anche di un monitorare nel tempo i casi non chiari, le scomparse, i “suicidi”, per provare ad approfondire le informazioni che sono disponibili da fonti aperte (online) e per seguire il caso giudiziario. Per capire come va a finire!

Il nostro monitoraggio avviene basicamente attraverso la lettura critica dei media (ne critichiamo costantemente il linguaggio!) e contatti diretti quando possibile grazie alla nostra rete territoriale. Tendiamo a tener presente la complessità del fenomeno e quanto i linguaggi usati, le giustificazioni possano diventare complicità. 

NON CI SONO e non accettiamo le motivazioni che spesso vengono nominate come giustificazioni d’amore, di follia, di malattia, di gesto estremo e non evitabile. Il femminicidio si colloca in una logica e pratica di possesso, di potere, di controllo, una pratica gerarchica che vuole annullare la libertà e l’autodeterminazione della persona che viene uccisa

Riportiamo il nome, l’età, il luogo dove è stata uccisa, il paese di origine, indichiamo il lavoro se si tratta di lavorator_ del sesso per denunciare e contrastare con forza lo stigma per questo lavoro. 

La provenienza di chi ha ucciso non è per giustificare posizionamenti razzisti, ma per sottolineare la trasversalità del fenomeno. 

Riportiamo il genere e transgenere della persona uccisa, chi ha ucciso, l’arma usata e quanto questo sia in relazione tra “chi” possiede una pistola per lavoro (polizia, guardia giurata etc) e poi la usa anche per esercitare violenza privata. Monitoriamo  i suicidi, l’occupazione di chi ha ucciso, i precedenti penali, se l’arma da fuoco era denuta legalmente, la “giustificazione” riportata dai media. Le motivazioni del gesto tendono spesso a giustificare il colpevole e a descriverlo con termini molto sbagliati e violenti (raptus, gesto d’amore, etc). Ma in ognuno di questi casi si può rilevare il dispositivo cardine della violenza eterocispatriarcale che vogliamo denunciare: il desiderio di possesso, di controllo sul corpo e sulla vita di un’altra persona, l’incapacità di accettare l’autodeterminazione e la scelta (per esempio, nel caso di persone con orientamento sessuale o affermazione di genere “non conforme”), il distacco (nel caso di una separazione), di fornire cura e assistenza (nel caso di una malattia o disabilità).

Vogliamo ribaltare il punto di vista che punta il focus sui comportamenti della persona uccisa, riportiamo se ci sono state denunce inascoltate da parte di servizi e polizia, il n di figliu piccol_ present_ o rimast_ in vita, se era una persona disabilizzata, se sono state uccise altre persone e la descrizione di cosa è avvenuto. 

L’Osservatorio non cerca di fissare criteri statici fissi, ma il lavoro di monitoraggio dal basso si muove da alcuni punti di partenza. Non tutti gli omicidi volontari in cui la vittima è donna sono necessariamente femminicidi. Persone trans, persone binarie e non binarie, persone intersex, persone di qualsiasi identità di genere e orientamento sessuale, considerate “non conformi”, sono vittime di violenza di genere e vittime di femminicidio o transcidio o lesbicidio.

Ci occupiamo di tutt a differenza dei media, rifiutando gerarchie e valori delle vite fermate.

Sia quest’anno che negli anni precedenti, nella maggior parte dei casi la persona viene uccisa da qualcuno che conosceva. Si tratta spesso di mariti, compagni, ex compagni, a volte di figli o altri parenti. Nella maggior parte dei casi le persone vengono uccise a coltellate (35%)  o con armi da fuoco (25%), ma ci sono molte altre modalità di uccisione che abbiamo osservato negli anni: percosse, soffocamenti, strangolamenti, annegamenti, incidenti d’auto, colpi con armi improprie. 

Spesso non è possibile comprendere dagli articoli online quante siano le persone che rimangono  – figlie e figliu orfani o che assistono alla morte della madre. Ci sembra comunque importante continuare a provare e raccogliere questa informazione, per dare visibilità a persone che rimangono non-viste anche dopo. Secondo il diritto di famiglia sono molte le scelte che il padre-marito può continuare a fare anche dopo aver ucciso la madre-moglie, sia rispetto alla moglie che rispetto a figli_ sopratutto se non hanno comiuto 18 anni.

Le persone che restano soprattutto quelle piccole molto spesso vengono abbandonate a se stesse, potrebbero essere costrette a vedere il padre in carcere, è difficile per loro accedere ai pochi fondi che sostengono le famiglie e le persone affidatarie. 

Il “padre” che ha ucciso la madre mantiene la patria potestà, il diritto all’eredità, la pensione di reversibilità perchè il patrimonio e il diritto di famiglia non si tocca.

Loro, “le persone piccole che restano”, diventano persone invisibili come viene denunciato nella puntata di REPORT dell’8 marzo 2024 a cui abbiamo partecipato con il nostro interevento 

https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Bambini-invisibili-e2ee9f78-3399-4616-9c6c-484d989667d6.html

Chissa quante di queste storie ci sono. Queste persone restano invisibili per il sistema e non hanno diritti sulla loro vita nonostante siano “vittime” in vita. Non perdono la patria potestà e si mantiene il diritto all’eredità, alla pensione di reversibilità .

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